Ecuador 8

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 7 Maggio 2019
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L’ultimo mese è stato dedicato alla preparazione dell’attrezzatura,

all’acquisto del materiale ma soprattutto alla messa a punto di quello che abbiamo chiamato il cannone.

Ero assolutamente conscio che uno dei maggiori problemi nella foresta sarebbe stato raggiungere i primi rami. Occorreva costruire qualcosa che ci permettesse di lanciare il sagolino quasi a 50 metri. La sola forza del braccio non poteva essere sufficiente, il fiondone aveva spesso dimostrato la sua inutilità su lanci molto alti. Occorreva riuscire a lanciare un peso con una forza tale da poter passare la boscaglia più bassa, raggiungere i primi rami e con un peso sufficiente in grado di riportare a terra il sagolino che si portava dietro. In realtà erano anni che pensavo a come farlo. In Nuova Zelanda un vecchio treeclimber aveva creato in maniera artigianale un cannone in grado di lanciare la sagola sugli alti eucalipti. Ma era piuttosto pesante e ingombrante. Bisognava far meglio. Coinvolsi il figlio di un mio amico idraulico che aveva fatto meccanica, ma dopo poco tempo mi ritrovai a lavorare con suo padre. Provammo molte idee e versioni ma alla fine il cannone non riusciva a essere altro che un grosso tubo di acciaio, un rubinetto ad apertura rapida e un tubo per il lancio. Ma non bastava. Troppe erano le variabili. Il peso del proiettile, la lunghezza del tubo di lancio, la grandezza della camera a pressione e la pressione che si riusciva a creare. L’utilizzo di pompe manuali era la limitazione più grande. Si potevano raggiungere al massimo 10 atmosfere e non erano sufficienti a imprimere una forza tale da sorpassare i 20-30 metri. Troppo poco per le mie aspettative.

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Penso di aver assillato talmente tanto l’idraulico con le mie richieste strampalate

che alla fine mi consegnò il prototipo dicendo che secondo lui era più che sufficiente.

 Mi ricordai di un altro mio amico metalmeccanico, Paolino, e lo chiamai. Gli spiegai ciò che volevo e gli mostrai il prototipo. Lo prese e dopo tre giorni me lo tornò completamente modificato, munito di un misuratore di pressione, di una valvola di ritenuta, di un aggancio rapido alla pompa e caricato a 40 atmosfere con una bombola d’azoto. “Provalo domani mattina, quando non c’è ancora nessuno in giro”. Avevo ideato un sistema per valutare l’altezza raggiunta dal peso utilizzando il suo cordone ombelicale, segnando cioè il sagolino con colori diversi ogni 10 metri. Un’altra persona stava a guardare quando il sacchetto aveva raggiunto l’apice mentre chi aveva sparato contava i metri. Ma con un po’ di allenamento riuscivo a fare anche tutto da solo. Quasi non dormii quella sera e alle sei del mattino ero fuori col mio cannone nuovo. Come un bambino che deve provar e il suo nuovo gioco. Respirai. Imbracciai il cannone, puntai verso il cielo che solo allora cominciava a schiarire e aprii la leva. Un forte boato fece prima scappare, poi ululare i cani, svegliando i pochi vicini che abitavano nei dintorni. Guardai il proiettile salire. Salire ancora. Ancora. Poi finalmente voltarsi per scendere verso il terreno. 60 metri. Il proiettile si conficcò nel terreno. Come un fanciullo felice rientrai in casa e mi preparai il caffè. Poi scrissi a Paolino. “Avvistato missile terra aria in quel di Tarcento a oltre 60 metri di altezza. Usa e Russia riprendono le ostilità?”

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