Il bosco bandito di Moggessa di Là - 2

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 13 Ottobre 2018
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Questa volta provo ad arrivarci in moto.

L’avevo promesso ai grandi e antichi protettori del paese. La stradina che sale da Monticello fino a Moggessa di Là non è un gioco da ragazzi per un GS 800, ma voglio fare un sopralluogo al Bosco Bandito di pini neri sopra il vecchio borgo disabitato. Fino a Monticello la strada è asfaltata e i tornanti sono invitanti nel fresco del bosco. Subito dopo, però, la strada sterrata si fa aspra sotto le due ruote.

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Le discese si intervallano alle salite e non è certo agevole tenere la pesante moto nei tornanti ghiaiosi. Ma la parte più difficoltosa, almeno per me, sono le ripide e impervie discese. Terreno di certo molto più adatto alle mountain bike che a un “endurone”, come recita il cartello all’inizio del “Sentiero dai borcs”. Non senza qualche patema arrivo al paesetto ancora avvolto nella bruma mattutina, lascio la moto e inizio a percorrere a piedi il bosco in salita. I grossi pini si stagliano austeri poco più in alto. Il sentiero è quasi inesistente, si vede qualche “schianto” provocato dalla neve invernale. Arrivo vicino al primo gigante che difendeva il paese dalle frane.

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Una corteccia variopinta di rosso, nero, verde, arancio e giallo,

fatta di incredibili placche frastagliate: sembra un grande mosaico tridimensionale. Il fusto colonnare, pur non altissimo, si apre in una chioma antica e vissuta, con molti rami secchi e sparuti pennacchi di verde intenso. Guardo alla base del grosso tronco dove le placche si sfaldano permettendo di contare gli anni della loro permanenza sui fusti.

Ognuna di queste placche ha quasi cento anni, segno inconfutabile del lentissimo accrescimento annuale di questi fusti. Il mio amico della Forestale aveva ragione. Questi alberi possono tranquillamente avere più di 400 anni. E già da qui ne posso contare oltre una cinquantina. Sono immerso in uno dei boschi più antichi del Friuli. Qualche pianta è morta, altre sono tutte contorte. Salendo trovo una ceppaia tagliata a mano da una ascia molto tempo fa e più in su un grosso masso che dimostra la funzione protettiva di questi alberi. È appoggiato in verticale su un fusto, che oramai ci è cresciuto sopra. Nessun uomo avrebbe potuto, a causa del suo peso, posizionare il masso così in verticale. Solo un fusto solido e ancorato alle rocce con radici centenarie poteva sopportare l’urto di una pietra di quelle dimensioni. Se lo stesso masso fosse piombato sul paese, rotolando sul forte pendio, certo avrebbe distrutto qualche casa, come lanciato da un immenso obice, dall’alto della montagna.

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Continuo a esplorare il bosco antico:

un albero ha una roccia che sporge dalla corteccia, piantata come un proiettile a quasi due metri d’altezza, un altro sembra seduto su una grossa pietra, tanto si è modificato per contenerla, altri presentano solo annose cicatrici a più livelli sul fusto, fin quasi oltre i tre metri di altezza. Salendo, la foresta diventa più giovane. Gli alberi sono più fitti. Arrivo su un pianoro, dominato da un faggio isolato. Guardo le montagne di fronte e il paese sottostante. L’odore di resina si percepisce tra i passi sulle foglie cadute e impasta le mie mani mentre mi tengo sui grossi fusti in discesa.

“E’ un bosco incantato”

penso, “degno di essere conosciuto da chi affronta i tre chilometri di cammino da Monticello a Moggessa di Là o salendo da Moggio e passando per Moggessa di Qua e il vecchio mulino. È un bosco antico, unico esempio di bosco bandito di pino nero in tutta Italia e forse in Europa, importante per essere studiato. È un bosco storico che va preservato” e ripenso all’unico motivo per cui veniva ogni tanto tagliato uno di questi alberi, come mi aveva sussurrato con rispetto l’amico della Forestale: “Solo il trave principale del tetto del vecchio mulino è di pino nero. È sacrificato perché sarebbe servito a tutti gli abitanti dei due paesi”. E poi aggiunge ancora più sottovoce: “Ma tutta la comunità regalava un albero anche alle giovani coppie del paese, quando si sposavano, per farne il trave portante della propria piccola casa di sassi. Vedi? Come quella casa laggiù, in fondo al paese. È quella di mio nonno”.

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