Il Rol dal Nono Carli

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 4 Gennaio 2015
Articolo

di Elia Maroè - Sem -

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Tarcento, 4 gennaio 1945

Aprì gli occhi in mezzo al buio e si accorse di quanto costasse respirare. Si mise seduto sul letto, annaspando. Le bende gli stringevano il petto come tenaglie. Il medico era riuscito a bloccare in tempo l’emorragia: era vivo per miracolo. Una sottile lama di luce tagliava la stanza a metà. Era giorno e bisognava fare i conti con la vita e la realtà. Si alzò a fatica e si vestì, sussultando ogni volta che gli abiti strusciavano sopra alla ferita. Uscito dalla casa, trovò ad attenderlo il suo subalterno che salutò con un tedesco molto stretto.


“Joseph, buongiorno”.

“Signore. L’ufficiale Kopfhner, durante la vostra degenza, ha ritenuto opportuno radunare la popolazione del villaggio Cragnolin qui a Tarcento. È probabile che quelli della resistenza abbiano trovato rifugio tra gli abitanti del borgo”.

Henrich Schlome si incurvò su di sé stesso. Due giorni prima i partigiani avevano teso un’imboscata a lui ed ai suoi uomini, ferendolo gravemente. Era stato un agguato fugace, erano venuti ed andati come le onde del mare. E lui avrebbe voluto morire. Aveva desiderato di essere ucciso perché capiva che ciò che stavano facendo era insensato ed inutile ormai. Il conflitto volgeva al termine e la Germania non ne sarebbe certo uscita vincitrice. Lui era un soldato, la guerra la viveva e per questo i giornali non lo ingannavano. Inoltre aveva visto così tanto dolore, così tanti corpi smembrati. Il sangue rosso vermiglio zampillava ugualmente da ogni uomo colpito, che fosse alleato o nemico, tedesco o italiano, comunista o ebreo. Aveva vissuto per così tanti anni credendo all’ idea di essere parte di una razza superiore, ed in questa convinzione aveva permesso… no. Aveva ordinato di schiacciare così tante vite. Ma dopo così tanto tempo fatto di brutalità aveva aperto gli occhi e negli specchi vedeva riflessa l’immagine di un mostro. Quindi la domanda che si poneva era ovvia: “Perché sono ancora vivo?”

“Signore?”, la voce di Joseph lo destò dai suoi cupi pensieri.

“Confesso che ha una brutta cera, farebbe meglio a tornare dentro.” Il suo sottoposto pareva sinceramente preoccupato. Nonostante ciò, il militare non sopportava più l’obbligata degenza.

“No, no. Piuttosto che intenzioni ha Kophfner?”, disse per distogliere l’attenzione dal suo stato psico-fisico. “Credo che voglia fucilare tutti gli abitanti del borgo”.

A queste parole un guizzò balenò nella mente del gerarca tedesco. Forse aveva appena trovato una risposta al suo quesito. Henrich si mise a correre a perdifiato tra le vie di Tarcento.

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Cassacco, 4 gennaio 2015

Elia si stava preparando per l’escursione in Cragnolin. Era tutto già programmato. Il ritrovo con tutto il gruppo a Billerio alle otto e mezza, la camminata nel bosco e il lavoro sulla quercia del nonno Carli. Poi il pomeriggio sarebbero tornati alla Tana per festeggiare. Festeggiare i suoi diciannove anni. Nel più classico dei modi: tanto cibo, tanti amici e tanta, tanta allegria. Mentre mescolava il tè per raffreddarlo, si fermò a fissare i minuscoli mulinelli che aveva creato nella tazza. Qualche istante dopo quell’effimera magia era già svanita. Come ogni anno la domanda riapparve nella sua testa. Non che non se la ponesse mai, ma ormai era tradizione per lui chiedersi, il giorno del suo compleanno, che senso avesse vivere. Perché soffiare le candeline, se farlo significa ufficializzare un altro anno passato e quindi uno in meno da vivere. Non aveva ancora trovato una risposta. Sorseggiò tranquillamente il tè e si cambiò, indossando la maglietta di SuPerAlberi e le sue vesti da lavoro. Poi lui, suo fratello Pietro e i suoi migliori amici Nicola e Alessandro si diressero alla Tana.

“Dobbiamo caricarci un po’ di attrezzi, che il capo da solo non combina”, esordì Pietro durante il tragitto.

“Eeeh, la vecchiaia incombe!”, rispose Nicola, “Anche per Andrea, per quanto energico sia, passa il tempo.”

“Ma oggi il tempo passa più per Elia che per suo padre!”, disse intromettendosi Alessandro, tirando una pacca sulla spalla dell’amico.

“Ma cosa dici! Non tutti possono dire di avere diciannove anni e di non sentirli”, si pavoneggiò il festeggiato. Scoppiarono tutti a ridere nell’abitacolo della macchina che viaggiava sulla Pontebbana.

Dopo essere passati alla Tana, arrivarono a Billerio. Alcuni erano già lì, molti di loro assonnati, ma tutto il gruppo era goloso di passare quella soleggiata giornata insieme. Una voce potente tuonò alle spalle di tutti. “Allora siamo pronti? Ognuno di voi cerchi di avere qualcosa da portare, non voglio vedere fannulloni in giro!”

“Ma non è mai tranquillo, questo qui”, si lamentò Ariela, la fotografa.

“Ma lo hai capito solo ora?”

“Come?!” Andrea ispezionò il manipolo di amici alla ricerca del tipo che aveva fatto del sarcasmo sulla sua personalità.

“Ehi, ehi, oggi non puoi arrabbiarti con me”, esclamò il sorridente secondogenito del capo

“È il mio compleanno, nel caso tu lo avessi dimenticato!”

Padre e figlio si concessero un abbraccio. Era bello vederli in quei momenti di affetto, alti e benevoli torreggiavano in mezzo ai loro amici come due tronchi che si intrecciano. Dopo il variopinto squadrone si incamminò nella strada serpeggiante che li avrebbe condotti al borgo Cragnolin. Già dai primi tornanti era facile smarrire il senso del tempo, poiché quel sentiero era così da moltissimi anni, e un senso di magia aleggiava sul rigoglioso muschio che agghindava i sassi. Ad Alessandro parve di vedere la faccia paffuta di un milord inglese, con un bel paio di mostacchi color verde prato che accennavano un sorriso. Mentre il gruppo si lasciava trasportare dalla fantasia e dall’ incanto che il bosco ospitava, elia marciava in testa con due motoseghe sul groppone. Lui ormai conosceva bene quel posto. Non che fosse immune al suo effetto, ma piuttosto che uno spettatore se ne sentiva parte, come se respirasse all’ unisono con quel polmone verde. Dopo una mezz’ora di cammino giunsero alla quercia del nonno Carli, dove la troupe si preparò per l’intervento sulla pianta. Pietro posizionò le telecamere fisse, Andre Luisa e Clio indossarono gli imbraghi ed Elia svolse la sua solita funzione di jolly: il facchino, l’intrattenitore e lo spettatore. Anche tutti e tre i ruoli insieme, talvolta.

“Sciagurato, dov’è il tuo casco”, lo rimproverò Andrea dalla cima della pianta “Lo sai che non puoi passare davanti alle telecamere senza il casco, quante volte te lo devo ripetere??”

“Beh i cani ci sono passati davanti un sacco di volte. E nessuno di loro aveva il casco!” Il giovane si diresse sghignazzando verso l’equipaggiamento, accompagnato dai coloriti improperi del padre.

Verso mezzogiorno si misero all’opera le donne, mobilitate dalla nonna Carla, per preparare il pranzo.

“Carla, tranquilla, pensiamo a tutto noi!”

Sonia si premurò di non farle mettere mano ai fornelli, poiché, per quanti pregi avesse, tutti erano memori di quella volta in cui aveva cucinato il risotto assieme alle salsicce mezze mangiate dai cani. Fu un disastro. Metà dei soliti frequentatori della Tana non fecero più ritorno dopo quel giorno. Nel frattempo Andrea decise di tagliare un ultimo ramo prima di scendere dall’ albero.

“Questo è morto. La vedete la ricrescita del fusto?”

Si mise in una posizione atletica per la telecamera e, con precisione chirurgica (il che è strano dato che usava una motosega e non un bisturi), eseguii il taglio, estinguendo in pochi istanti un legame durato decadi.

“Contate gli anelli, voglio sapere quanti anni aveva quando si è seccato”.

“Ma scusa, un’appendice morto così grosso può comunque rimanere attaccato all’albero?” Chiese Clio fissando il ramo giacente a terra.

“Certamente, se le forze esterne non sono abbastanza grandi da romperlo, ha comunque una sua rigidità”. Andrea scese dalla pianta e ricavò varie sezioni dal legnoso pezzo appena segato.

“Tenete e contate tutti, che sono curioso!” Erano anelli molto sottili, contarli correttamente era complicato.

“Per me sono cinquantaquattro…” Disse titubante Pietro.

“Ma va, sono almeno una sessantina!” Ribattette in modo euforico Nicola.

“Io ne ho contanti meno di cinquanta”. Esclamò lapidariamente Alessandro.

“Ah, sai addirittura contare fino a cinquanta?” Lo sfotté Nicola, ridendo.

“Scommetto che le sberle che ti sto per tirare non riuscirai nemmeno a contarle!”

“AHAHAHAH, mi sa che devo tornare a casa a prendere gli occhiali”.

La risata di Elia irruppe in mezzo alla concitata discussione.

“Come mai?” Chiese suo fratello Pietro.

“Ne ho contati 70…”

Tarcento, 4 gennaio 1945

“Metteteli in fila, voglio che si vedano” Kopfhner stava sbraitando ordini ai suoi soldati “Il plotone d’esecuzione è pronto? Bene. Questi cani devono pagare. Tutti devono pagare! Voglio che il sangue imbratti le vie di questo sudicio paese. Che sia maledetto. Che l’Italia intera sia maledetta!” Il cielo si era ingrigito e con lui tutta Tarcento. I volti delle donne e dei bambini di Cragnolin, poiché di uomini non ne erano rimasti, erano spauriti e rigati dalle lacrime. L’altarino della Madonna in via era destinato ad essere lo sfondo della fucilazione. Gli abitanti del paese si erano radunati per assistere all’eccidio. Gli anziani tarcentini si tenevano il capello in mano, mentre le rispettive mogli, avvolte nei fazzoletti, stringevano ognuna un rosario, aggrappandosi a tutto ciò che era rimasto loro: la fede. Solo un miracolo poteva salvare quelle persone. Ma Dio, o chi per lui, sembrava aver voltato le spalle. Agli abitanti di Cragnolin, ai deportati, all’uomo e al mondo intero. Aveva voltato le spalle, disgustato da tanto orrore e insensatezza. I bambini fissavano i loro amici disposti in fila, con i quali avevano bighellonato fino al giorno prima, senza capire il senso di quello strano gioco. Che fosse un grande “Guardie e ladri?” Per un bambino, che riesce solo a cogliere la vera essenza delle cose, la guerra risulta incomprensibile. A che scopo farsi del male quando si può essere amici e giocare insieme? I pargoli cominciarono a preoccuparsi, avvertendo l’atmosfera pesante come il piombo che aleggiava sugli abitanti del borgo. Poi arrivò l’ordine. Gli esecutori si disposero difronte ai Cragnolini.

“Caricare”. La parola uscita dalle labbra dell’ufficiale riecheggiò nell’aria come il suono di ossa rotte.

“Mirare”. Anche il cielo si mise a piangere assieme a quel piccolo popolo. Persino qualche soldato tedesco tremava, distrutto dall’idea di ciò che stava per fare.

“FERMI!” tutti si voltarono verso Henrich Schlome, che si ergeva dritto e deciso alle spalle dei Tarcentini.

“S… Signore?” Kopfhner sgranò gli occhi “Ma… Perché?”

“Deponete i fucili, soldati, e liberate quelle persone.” Ordinò perentoriamente il nazista.

“Signore, non potete farlo!” L’ ufficiale nascondeva a malapena la sua rabbia.

“Posso e lo farò. Sono un tuo superiore e mi devi obbedire. Risponderò io delle mie decisioni.” Non c’era traccia di esitazione nelle parole del gerarca tedesco. Vi era piuttosto una risolutezza altissima.

“Tra di loro si nascondono coloro che hanno attentato alla vostra vita!” Kopfhner stava perdendo il controllo.

“Cristo santo Kopfhner, ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Apri gli occhi, ci sono solo donne e bambini dietro di te!” il tedesco girò la testa verso quegli esseri umani che aveva rischiato di uccidere.

“No… Non è vero. Tu menti! Tu stai dalla loro parte!” Afferrata la pistola dalla propria cintola, si diresse a grandi passi verso una bambina del borgo, mirandole alla testa.

“Lo vuoi capire che non è mai stata una questione di parti? Qualunque conflitto è già di per sé una sconfitta del genere umano! Ora molla quell’arma prima di versare altro sangue di cui pentirti”.

“Ma… Ma loro hanno ucciso Stephan! È colpa loro!”

“No. La colpa è stata nostra. Siamo stati noi a salire su questa barca che ci ha condotto in acque rosse colme d’odio. Ma possiamo ancora scendere. Siamo ancora in tempo, nel nostro misero essere uomini, per fare la differenza.”

Kopfhner, tremando, abbassò l’arma e si mise a singhiozzare. Henrich gliela tolse di mano, per poi abbracciare l’amico.

“Andiamo”, sussurrò, “Anche voi, andatevene!”

I soldati e la folla di paesani si dispersero e ognuno tornò a casa propria.

Esattamente un anno dopo, sotto la quercia che svettava sul borgo Cragnolin, Carlo organizzò una festa per il primo anniversario della non fucilazione degli abitanti. Verso la fine della cena, chiamò sua figlia Doria.

“Allora, bambina mia, raccontaci. Parlaci di quel miracolo vestito da soldato che vi ha salvati. Già, perché dovete sapere che Dio è ovunque, anche dentro a delle vesti da militare”.

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Cragnolin, 4 gennaio 2015

“70 anni… Che strano… proprio oggi ne sono passati 70 da quando ci fu la non fucilazione del borgo!” Andrea stava sorseggiando un caffè e nel mentre ripensava alla particolare coincidenza.

“Non fucilazione? A cosa ti riferisci?” Elia comparve alle spalle del padre, incuriosito dalle sue parole. “È una vecchia storia risalente alla seconda guerra mondiale. Forse faresti meglio a fartela raccontare dalla nonna, lei l’ha vissuta”.

“Nonna? Mi potresti parlare della non fucilazione?”

L’anziana fissò il nipote con sguardo benevolo.

“Se vuoi te ne parlo ma è successo tanti anni fa e non me la ricordo nei dettagli”.

L’erre moscia non dava fastidio al nipote, che ormai aveva imparato ad apprezzare ogni dettaglio della sua parente.

“Va benissimo lo stesso!” Disse Elia, sedendosi di fronte a lei.

“Allora era il 4 gennaio del 1945, la data la ricordo bene perché ogni anno, finché mio padre era vivo, la commemoravamo…”

Qualche minuto dopo, Elia era seduto sotto la quercia del nonno Carli, a rimuginare su quanto aveva appena ascoltato. Dunque anche tra i nazisti c’erano brave persone. Forse avrebbe dovuto ridimensionare il suo repertorio di battute sui tedeschi. Fissando la sezione del ramo tagliato che aveva in mano, il ragazzo si chiese se fosse una coincidenza che proprio l’appendice che stringeva avesse 70 anni. Forse il destino, travestito da albero, voleva riportare alla loro memoria quella lontana storia, che era una lezione di carità e pietà. Perché quell’uomo aveva graziato i Cragnolini, tra i quali c’era anche sua nonna? Se non lo avesse fatto, probabilmente lui non sarebbe nemmeno esistito. Le domande che gli frullavano in testa si mischiarono a quella che si era posto durante la colazione. Era chiaro che erano tutti indizi che dovevano portarlo a una conclusione, indizi che la mano del fato aveva misericordiosamente lasciato cadere sul suo cammino. O forse la stessa quercia aveva una sua coscienza, in quanto essere vivente, e aveva deciso di aiutarlo, riportando a galla i ricordi di quell’evento. Alzandosi, Elia mise una mano sul tronco della pianta.

“Grazie. Non scorderò la tua lezione”. Forse non aveva trovato il senso della vita, ma quel giorno comprese che la vita di ognuno ha un senso. Lui doveva solo trovare il suo. Si avviò a piccoli passi lungo il sentiero in discesa, camminando contemporaneamente verso la sua compagnia di amici e il suo futuro. Era pronto a viverne ogni istante per cogliere l’essenza intima di tutti momenti e rinchiuderla così nella sua.

S.E.M.