Forest Summer School: una settimana all'insegna della socialità

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 27 Agosto 2020
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Un settimana all’insegna della socialità.

Venerdì 7 agosto, pomeriggio, caldo,

appena sciroppato seicento chilometri per arrivare alla Tana, uscendo dalla “Teresina2” scorgo senza ombra di dubbio la mia impronta corporea sul sedile, comunque è fatta, sono arrivato. Una doccia veloce per togliermi il salino del viaggio e poi a parlare degli ultimi dettagli sulla Forest Summer School, ormai si sta per iniziare! Effettivamente nell’aria gira apprensione, anche se tutto è stato calcolato a puntino c’è sempre quell’eccitazione, quell’ansia che prelude all’inizio di tutto. Questa non è una conferenza, o magari un seminario questa è una settimana intera in mezzo alle rocche per lavorare. E chi viene a lavorare sono venti ragazzi della 1° liceo Scientifico di Trieste più venti volontari di estrazione eterogenea: da studenti universitari di Scienze Forestali a fotografi a personale paramedico. Insomma, c’è né di che… Non è soltanto una prova, diciamo una prova di lavoro, è qualcosa di più, è mettere insieme uno squadrone di quaranta persone, farlo lavorare insegnandogli l’uso di utensili e attrezzature dalle semplici alle complesse cercando in ogni modo un risultato: fare opere utili senza farsi male. Appena giunti sul luogo (rifugio Tita Piaz) dopo aver scaricato due furgoni colmi di attrezzature, compresa una cippatrice semovente (motore autonomo), riuniamo tutti i volontari e gli studenti per una prima fase informativa sul come si svolgerà la settimana. Si imposta il programma giornaliero degli orari e gli appuntamenti compresi quelli serali (dopo cena) come formazione implementativa in progresso. Il primo approccio è dedicato alla sicurezza sul lavoro. E questa è la prima parte dell’informazione e quindi formazione teorica che viene data prima del primo passo verso il cantiere. Questa fase si svolge in aula ed è il momento dove appunto si illustrano i rischi di questo tipo di lavoro, gli atteggiamenti che si deve avere nei confronti del rischio, quali D.p.i. (Dispositivi di Protezione Individuale) utilizzare e come soprattutto adoperare utensili e attrezzature. Ma è anche il momento nel quale si inizia ad assaporare un ingrediente importante di questa scuola: la convivenza.

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E qui un passo indietro: la delineazione del profilo medio dei soggetti, per meglio comprendere l’esistenza dei legami nella dinamica di gruppo.

Gli studenti sono al loro primo anno di liceo, giungono a questo appuntamento dopo mesi di lockdown (vedi Covid-19), purtroppo non si sono conosciuti come avrebbero potuto se l’anno scolastico fosse stato il solito, di fatto non si sono ancora “legati” bene tra loro. È un passo di notevole importanza, proprio perché chi lavora in qualche modo deve conoscere non soltanto il lavoro, ma anche chi gli sta vicino e questo obbiettivo non si può raggiungere in tempi brevi, figuriamoci poi per dei neofiti. Una delle prime osservazione è stata proprio quella di cercare di comprendere il loro livello di empatia, come e in che modo ci fossero già delle dinamiche di comunicazione impostate e fino a che punto ci si poteva attivare sulle stesse, così da riuscire ad amalgamare quanto possibile l’intero gruppo. Arrivare a creare un “clima” favorevole per permettere al singolo di essere soggetto attivo di una squadra nel lavoro con gli altri: controllando il mio lavoro posso controllare anche quello degli altri, insieme ci proteggiamo dagli atteggiamenti troppo disinvolti che posso diventare rischiosi e quindi pericolosi. Detto e ripetuto in centinaia di formazioni professionali, a gente di tute le età, pare quasi retorica, eppure è il cardine della sicurezza, essere presenti sia come singolo, quanto come singolo in gruppo, in ogni fase lavorativa. Gestire se stessi, vedendosi, correggendosi ma senza mancare di volgere le proprie attenzioni anche agli altri (pure con la coda dell’occhio). Il lavoro di squadra richiede fondamentalmente questo. E se da una lato l’osservazione rivolta agli studenti era con questi livelli di attenzione, dall’altro era rivolta ai volontari, più che altro per la loro così eterogenea estrazione. Tutti adulti e con un’età media intorno ai 40anni. Anche per loro sono validi questi concetti, nonostante nel crescere si ottenga una sempre migliore consapevolezza del rischio (in qualsiasi momento lo si comprenda). L’aver già imparato diversi movimenti, tecniche ci pone a voler raggiungere prima il risultato, bruciando però i tempi dedicabili all’ottenimento dell’esperienza necessaria per eseguire correttamente il lavoro. Prima di giungere a un buon livello devo fare per tanto tempo lo stesso lavoro. Questa consapevolezza del “fare” è stata riversata in ogni modo e in ogni momento utile a tutti i soggetti coinvolti ed è proprio in questa fase iniziale che si capisce quanto sia importante la presenza dell’istruttore, del caposquadra che deve essere perennemente “vigile” su chi lavora. Nella chiusura di questa prima parte di informazione sul come essere attenti, pur esorcizzando gli imprevisti di quanto avremmo dovuto fare, la scommessa più grande era appunto quella di fare, bene, essere soddisfatti di quanto costruito senza portare a casa un graffio… A questa prima formazione si sono susseguite altre: la verifica strumentale delle condizioni fitostatiche dell’albero (Pietro Maroè), i servizi ecosistemi dell’albero in città confrontati a quelli del bosco (io), lo splendido documentario sulle verifiche dei grandi alberi della foresta in Equador (Andrea Maroè) e il briefing conclusivo in foresta per illustrare quanta connessione ci sia tra ambiente e ambiente, tra albero e albero, tra albero e uomo.

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L’inizio:


Partiamo dalla Baita Torino (il rifugio per gli studenti del liceo) e scendiamo per una bella passeggiata a verificare le condizioni del luogo, del percorso da ripristinare che ci attende, e quindi del nostro lavoro dei prossimi giorni. Di fatto è un percorso pedonale (pista) discretamente comodo che si snoda all’interno di un’area forestale come percorso attrezzato anche per ipovedenti. Lungo tale percorso si trovano n. 6 tabelloni illustrativi (bacheche) nei quali si vedono indicazioni sull’ambiente che si visita, il tutto distribuito in poco meno di un chilometro circa. Ad integrazione di questi tabelloni si trovano altri totem illustrativi (di dimensioni ridotte rispetto ai precedenti tabelloni) con didascalie mirate anche queste ad illustrare meglio a chi è di passaggio le caratteristiche del luogo. L’area, come tante altre, è già stata interessata dal recupero del legname grazie a squadre di operatori forestali su mezzi adatti a percorrere dislivelli notevoli con carichi notevoli. A noi tocca il ripristino di questo percorso, perché nella fine dell’ottobre 2018 la tempesta Vaia lo ha in parte distrutto, devastato. La prima impressione non è positiva, pare una “montagna” di lavoro che difficilmente potremo portare a termine proprio per le caratteristiche operative e l’estensione su superfici e dislivelli notevoli. Ma invece già alla conclusione della prima giornata di lavoro vediamo risultati confortanti, si riesce a percepire l’animo comune di voler fare, di essere arrivati sin quassù per ottenere dei buoni risultati. Alla sera si cerca distrazione pensando al giorno dopo, alla mattina dopo, al meteo variabile che ci ha accompagnato su almeno quattro serate spettacolari tra tuoni e fulmini di temporali che per fortuna ci hanno sempre e solo sfiorato con qualche goccia. Il tempo passa sempre troppo veloce e tra le crescenti soddisfazioni e il migliorarsi si giunge alla conclusione meritata, un tuffo nel Sauris per scrollarsi di dosso le fatiche della settimana, la corsa in salita per vedere chi arriva primo (complimenti a Nicolò e a Giorgio) una visita della (nostra) Greta per farci i compimenti sulla nostra migliorata sensibilità all’ambiente e dopo l’ultima cena (quella al Tita Piaz) il teatrino che parla ancora del rapporto tra alberi, tra alberi giovani e vetusti, tra alberi vicini e lontani.

Il tutto in una cornice (le Alpi Carniche) di meravigliosa bellezza, il tutto in un luogo (complice…) dove lo smartphone ha ancora grossi problemi di rete e quindi non ci abbiamo giocato su più di tanto, dove il nostro tempo nel lavoro e nel poco rimasto libero era finalmente dedicato allo stare insieme. Al guardarci e parlarsi (e ballare) finalmente come abbiamo un po’ sempre fatto, senza accessori.

La Forest Summer School è un campo di prova che giostra su questi argomenti di così grande importanza: far crescere (coltivare) nei giovani e non soltanto, una sensibilità singola e di gruppo indispensabile a comprendere l’importanza della natura e della sua esistenza per l’uomo. Dobbiamo conoscere e rispettare il piatto nel quale mangiamo, l’ecosistema e i suoi servizi sono materia di apprendimento nel percorso della conoscenza delle ragioni di come continuare a vivere sulla terra. Ritorniamo a casa dopo una straordinaria esperienza, arricchiti, perché abbiamo capito quanto vale aiutare qualcuno in difficoltà o semplicemente perché è stanco, abbiamo capito quanta pazienza occorre per farsi esperienza, abbiamo sporcato le mani e sentito il sudore colare non per sport ma per lavoro, anche duro, al quale chi è ancora adolescente, se non in questi frangenti, chissà quando mai avrà l’opportunità di provare… Dal primo incontro in questi sette giorni ai saluti finali nell’emozione grande di lasciare un compagno, dei compagni di avventura, di lavoro, di lasciare un ambiente ritrovato visto innumerevoli volte ma ora finalmente ritrovato.

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La Forest Summer School è un campo di prova

che giostra su questi argomenti di così grande importanza: far crescere (coltivare) nei giovani e non soltanto, una sensibilità singola e di gruppo indispensabile a comprendere l’importanza della natura e della sua esistenza per l’uomo.

 Dobbiamo conoscere e rispettare il piatto nel quale mangiamo, l’ecosistema e i suoi servizi sono materia di apprendimento nel percorso della conoscenza delle ragioni di come continuare a vivere sulla terra. Ritorniamo a casa dopo una straordinaria esperienza, arricchiti, perché abbiamo capito quanto vale aiutare qualcuno in difficoltà o semplicemente perché è stanco, abbiamo capito quanta pazienza occorre per farsi esperienza, abbiamo sporcato le mani e sentito il sudore colare non per sport ma per lavoro, anche duro, al quale chi è ancora adolescente, se non in questi frangenti, chissà quando mai avrà l’opportunità di provare… Dal primo incontro in questi sette giorni ai saluti finali nell’emozione grande di lasciare un compagno, dei compagni di avventura, di lavoro, di lasciare un ambiente ritrovato visto innumerevoli volte ma ora finalmente ritrovato.


a cura di Luigi Delloste