Gli alberi nel loro cammino ci parlano

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 25 Ottobre 2020
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Passo del pura

1.428 mslm., fresco, una bella arietta sventaglia il volto sudato per l’occasione della salita, mirabile occasione per rinfrescare anima e corpo dell’entusiasta movimento del fitwalker.

Qualche parola sul fitwalking che è “l’arte del camminare”, una forma di praticare il cammino che ne evidenzia tutte le potenzialità e va oltre il semplice camminare. Significa letteralmente “camminare per la forma fisica”, è il denominatore comune per tutte le attività di cammino che escono dalla normale locomozione quotidiana e diventano attività motorio-sportiva, ma che mantengono in comune il concetto del camminare bene. “L’arte del fitwalking” sta proprio nella scoperta che non è solo importante camminare per fare al meglio la passeggiata, il trekking, il tour culturale e turistico, ma è necessario camminare osservando una corretta meccanica del movimento, acquisita conoscendo e praticando la tecnica del fitwalking. Un modello di approccio allo spostamento che riproposto su questi percorsi permette di gustare al meglio ambiente e anche le fatiche.

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L’arte di camminare, conoscendo nel proprio cammino se stessi e l’ambiente che si attraversa, 

per poterlo gustare rendendosi partecipi alla vita dello stesso.

Il pomeriggio sta volgendo al termine e fra poco ci troveremo tutti seduti per saziarci della cena che conclude questa magnifica settimana di lavoro e cultura al Passo del Pura tra Rifugio Tita Piaz e Baita Torino in quel del Sentiero didattico forestale di Bosco Flobia. Un po’ di aria viscosa si intravede perché si sente che è l’ultimo appuntamento conviviale serale, forse anche il preludio ai saluti, una sorta del non voler “mollare” ciò che è stato così intensamente vissuto. Ma del resto ciò che ha inizio a poi anche fine e quindi tra il mesto e il rassegnato un po’ tutti ci stiamo avviando ad un ragionevole e pacato stato di accettazione. Uno stato di mestitudine profusa. Rimane però ancora una cosa da fare. Andrea, prima della cena, tra ricchi e profusi complimenti ha rimarcato la lodevole volontà espressa da tutti i partecipanti durante il lavoro, e per ciliegina sulla torta (quasi come premio) ha anticipato la sorpresa finale della serata, un teatrino tra due alberi. Il battibecco tra un platano di città un giovane di trent’anni e la quercia vetusta della foresta di qualche secolo. In quella, non si è certamente compreso quanto la platea fosse disposta o no a tale farsa, e forse proprio questo ha lasciato i due attori in erba (forse sarebbe meglio in foresta ndr.) un po’ disillusi, poco caricati dalla inerme eccitazione nel ricevere su un vassoio d’argento tale proposta. Era un po’ come se mancasse quello sfrigolo, quella discreta acclamazione e curiosità che ci sarebbe dovuta essere (per noi teatranti) come per il sabato del villaggio che vede chiara l’eccitazione per il giorno dopo, per la proposta appena consegnata in anteprima.

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La cena proseguì in pochi commenti,

dal mio canto ripassavo quello che avremmo potuto dire, in parte raccolto su uno schema a colonne per gli spunti, su cui giostrare tra una schermaglia verbale e l’altra.

Non toccavo Cabernet, l’intenzione di arrivare nel pieno della mia lucidità all’appuntamento precludeva il gesto del bicchiere, era come se due note calamite (la mia mano e il bicchiere appunto) in quel momento si respingessero invece di attrarsi come al solito. Chissà, una nota di sobrietà in cuor mio doveva esserci. Andrea assaporava il contrario, da astemio mancato versava generosamente ciò di evitato dal sottoscritto e il boccale lentamente si svuotava, era una marcia in più. Si avvertiva esitazione e davvero fino a pochi istanti prima di iniziare la convinzione di fare era abbondantemente sotto i piedi. A questo punto mi permisi di pungolare la sua verve, consigliandogli di non esitare a lasciar perdere la proposta del teatrino se non si sentiva più che convinto di poter fare la propria parte. In questi momenti o si ha forza d’animo e motivazioni o sennò è meglio lasciar perdere. Forse ci riuscii, e così, finalmente lo vidi leggere in modo molto poco attento il copione, certo, non partivamo in quarta! Ma nonostante questa incertezza di lì a poco fummo pronti, e ancora un mezzo bicchiere di rosso aleggiava sul tavolone alle nostre spalle. Bancone, tavolone, questo era il palco ammezzato, il “riparo” dietro al quale nascondere le nostre insicurezze per difenderci dalla Platea, chissà mai quanto aggressiva… Insomma, avevamo parlato con tutti in questi giorni, con tutti insieme e con tutti singolarmente, non avremmo dovuto di certo avere soggezione di questi ormai amici. Invece non era così, la nostra esitazione veniva colta negli anfratti dell’inconscio dei partecipanti che ormai stavano prendendo posto, al proprio posto, per vedere e sentire questa proposta per un gran finale.

L’idea, nata dalla più che generosa e vivace mente di Andrea, era di qualche giorno prima, credo sicuramente non prevista in precedenza, bella, pulita e invitante. Intrattenere tutti in questa scenetta serale sull’albero, dopo aver masticato foresta e alberi per tutta la settimana, permeava proprio quella morale che si voleva lasciare: le difficoltà della vita per ogni essere vivente, incastrate tra l’esitazione del platano in città e le certezze della quercia della foresta, piena di acciacchi ma sicura di poter ancora vivere a lungo. Un po’ di umanizzazione non avrebbe guastato certamente, poiché il fine era proprio quello di avvicinare tutti alla comprensione e quindi alla sensibilità che gli alberi hanno verso la vita che li circonda.   

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Inizio.

Una mia breve introduzione per far comprendere dove ci troviamo, e via!

Andrea apre le braccia al cielo e diventa una quercia di qualche secolo, tronfia, imperiosa, ricca di esperienza, di infinite diversità e amenità che le orbitano intorno, tra la corteccia, il legno, le foglie, i rami e il fusto, tra le crepe e gli antri segreti. Mi chino incrociando le spalle nel vano tentativo di apparire un platano giovane e, se pur nella ricchezza della gioventù, pieno di ansie e preoccupazioni. Ci parliamo ad alta voce con le cortecce quasi a contatto, il platano sbuffa improperi sulla propria città, del viale rumoroso e inquinato dove è radicato, tra incidenti e luce notturna dei lampioni, dove non è possibile riposare neppure per una notte. Saltano fuori gag, qualche risata si ode in sala. La quercia è sfavillante (il rosso si sta consumando), sta bene, non si lamenta e ad ogni battuta prende secoli di età (concluderà con oltre duemila anni). Gioca radiosa nella descrizione dell’ambiente che la circonda, degli innumerevoli amici che dialogano con lei, non è mai sola e dorme serenamente ogni notte, mai disturbata, mai offesa nella sua dignità. È piena di cavità, pare un condominio aperto al mondo, sì, quello della foresta dove è nata da una ghianda rotolata in quel luogo per caso. Certo, non il platano, scelto invece in un vivaio assieme a tanti altri, tutti cresciuti nella stessa forma, dimensione, con il concime e l’acqua ridondante e le cure dell’uomo, poi numerato, trasportato su una tradotta insieme a tanti altri in un luogo sconosciuto e non voluto, e piantato a forza in un terreno ingrato e pieno di terribili verità. Un terreno povero, insano, riluttante a sembrare la madre terra, come quella vivida ai piedi della quercia, quella così ricca di qualità da avere solo attributi e vita. Dove ogni cosa sia mescolata in quell’universo, possiede un passato, un presente e gioca per il futuro. A tratti suscitiamo riflessioni, a tratti ilarità, ma sul finire del circa quarto d’ora (molto ben non calcolato) dello spettacolo, percepiamo l’interesse, l’obbiettivo raggiunto: sensibilizzare la platea ad avvicinarsi sempre più a comprendere la natura, l’albero, la foresta, l’ambiente. Abbiamo creato pathos come speravamo, in un logos più grande degli obbiettivi da raggiungere. Sorridendoci appagati sul palmo della mano ci salutiamo e porgiamo ossequio alla platea, è festa di lusinghe nella soddisfazione generale.

Tempi di scrittura copione (15 min. circa al bar); lettura dello stesso di Andrea: 1 volta (frettolosamente); durata spettacolo circa 15 minuti; esito: oltre ogni più rosea previsione (conservo gelosamente il breve filmato che riprende l’inizio dell’applauso con vocalizzazioni finale…!).

Entrambi nelle nostre giaculatorie abbiamo ricevuto applausi, questo con ogni probabilità è stato uno tra i più emozionanti. 

a cura di Luigi Dell'Oste