La quercia delle checche

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 10 Settembre 2019
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Mi chiamano la mattina presto.

"Stanotte è caduto un altro ramo alla Quercia delle Checche!

 Abbiamo bisogno di te. Puoi Venire?" Al Telefono è Nicoletta Innocenti, instancabile coordinatrice del Comitato SOS Quercia delle Checche, che con il suo gran lavoro e passione è riuscita a far diventare questa quercia il primo monumento naturale italiano tutelato dal Ministero delle Belle Arti. Guardo su Google Maps: sono 500 km giusti. "Ok parto domattina, a mezzogiorno sono lì". Nel pomeriggio preparo la moto e alle sei del mattino del giorno dopo parto. La quercia è un esemplare colossale, con una struttura straordinaria. Già nel 2014 aveva perso una grande branca. Ora il secondo traumatico evento, nell'agosto del 2017.


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Quando finalmente la vedo

resto affascinato dalla sua bellezza e costernato da quel ramo di quasi 20 metri e con un diametro di oltre un metro disteso a terra.

Ha lasciato una profonda ferita sul fusto. Gli operai del Comune stanno posizionando delle impalcature per sostenere un'altra branca a rischio che, potrebbe cadere sulla provinciale che porta a Pienza. Osservo tutto attorno e la povera pianta. Un fulmine ha colpito l'albero. Ognuno ha le sue idee e le sue recriminazioni. "Si doveva intervenire prima", "Non eravamo proprietari del terreno", "Non c'erano i soldi", "Gli esperti avevano opinioni discordi". Parlo con il Sindaco Fabrizio Fè e con l'arch. Mariella Sancarlo della Sovrintendenza. Nicoletta è attenta ad ogni parola. "Mi raccomando! Ci affidiamo a lei" mi dice più volte il Sindaco. L'unica cosa certa nella mia mente è che ancora una volta sono arrivato tardi. Sempre così. Mi chiamano quando il danno è già accaduto. Quando non si può fare quasi più nulla. Pensando di aver davanti quasi un Dio che risolverà tutto. Invece io mi sento piccolo e impotente davanti alla forza e ai misteri della Natura e alle lotte intestine e spesso assurde degli uomini. Anche stavolta, qualsiasi cosa dirò, qualsiasi soluzione suggerirò, sarà poi usata contro di me dai colleghi, sarà interpretata male dall'una o dall'altra parte e la pianta probabilmente non ne trarrà alcun giovamento.


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E' già successo

per il cipresso di Montezuma a Nola o il Pinone di Pavullo,

e moltissime altre volte, anche se con impatto mediatico minore. "Torno a vederla nel pomeriggio, poi vi dirò qualcosa" dico ad un certo punto. So che non ci sarà nessuno. Saremo solo io e Lei, la grande quercia e io, e potremmo parlarci senza tutto questo caos.

Ci sono quarantatre gradi quando salgo tra le braccia del gigante. Mi parla piano, dolorante e ferita. Osservo intorno i danni del fulmine, le ferite vecchie, quelle antiche e quelle nuove. I suoi 350 anni portati con dignità e serenità. "Sono stanca, tanto stanca". "Anche io, piccola. Mi spiace molto, non credo di poterti aiutare". "Lo so. Ma a volte si ha solo bisogno di compagnia". Quando scendo piango. Spengo il cellulare. Non voglio parlare con nessuno. Inforco la moto e cerco un pozza di acqua dove poter sparire.