Nudo

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 6 Settembre 2017
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È presto. Il sole mi sveglia. I rami da neri nella notte ora risplendono verdi sopra di me. Scendo dall’amaca. Ho solo i pantaloni corti addosso. Tocco la corteccia rossa e spugnosa. È un attimo. Prendo il sagolino e lancio. Altissimo. Ma il sacchetto è poco pesante e non scende. Riprovo più volte, i rami arcuati della sequoia fanno “uscire” la corda e, salire con l’ancoraggio così esterno, sarebbe pericoloso. Ma la sequoia è la mia pianta. Non ho premura. So che arriverà il lancio buono. Corro su e giù scalzo tra l’erba e le foglie morte della sequoia. Provo a installare la fune sul sagolino varie volte, senza successo. Le campane suonano le sette e mezza. Riguardo la mia amica. Le sorrido. So che sta solo giocando con me, ma in realtà mi vuole. E io accetto lo scherzo. Lancio. Non molto alto, sempre un po' esterno, ma un piccolo rametto impedisce un ulteriore scivolamento verso l’estremità più fragile del ramo. Mi infilo di corsa l’imbraco sopra i pantaloni corti. Senza maglia. Senza scarpe. Senza casco. La mia pelle contro la pelle della sequoia. So che non è “regolare”. In effetti però l’unica cosa essenziale che mi manca è il casco. Ma io voglio così. La mia amata vuole così. Sono le otto quando inizio a salire la corda. Mi godo il momento. Arrivo all’ancoraggio che saranno già 25 metri. Da lì arrampico a braccia e con le due longe di sicurezza.

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Le mie mani sentono i rami, i miei piedi si colorano del rosso vivace della corteccia, la polvere ariosa che esce dalle mie carezze sul fusto si attacca, nella mattina afosa, al mio sudore. Arrampico sereno, via via più in alto. Fino a che finisce la corda di emergenza che mi son portato dietro. Sono 45 metri. Ma la pianta non è finita. Installo la fune. Poi riprendo a salire con le longe, districandomi tra gli esili rami della punta. Oramai sono a 2 metri dalla cima. Guardo attorno. Lontano. La bruma del mattino si è alzata, i paesi si sono svegliati. Salgo ancora. I miei piedi si legano con i rami. La punta che stringo con la mano destra è talmente sottile che indice e pollice si toccano. Sono in cima. Con la mano sinistra sfioro la punta. Battono le 8 e 30. “Devo solo aspettare che arrivino – penso tra me –. Nessuno, almeno in Italia, ha scalato quasi 50 metri di albero praticamente nudo". I pensieri si accavallano mentre aspetto che arrivino i miei compagni. Nessuno però si ferma nella mia mente. E passa quasi mezz’ora perché Pietro si faccia vedere. Gli chiedo una foto, gli grido di chiamare Simone per le riprese, di far venire su qualcuno col metro. Passano ancora tre quarti d'ora prima che sotto i miei piedi arrivi, sulla corda che avevo già installato, Luisa. Porta il metro, l’asta e le bandierine. Ci scambiamo qualche battuta, le faccio notare le grosse cime di sostituzione che hanno fatto le sequoie alle nostre spalle in seguito ai fulmini che hanno preso nel corso degli anni. Su quella a destra posso notare fino a cinque reiterazioni della cima. Una vitalità incredibile che spinge questi giganti immortali sempre ad anelare il cielo. Risalgo in cima col metro per misurare la mia sequoia. La bacio. Luisa è già scesa. Io nudo e lei, la mia sequoia, che si lascia accarezzare, nuda come me. Che mi mostra serena la sua anima e il suo spirito più profondo. Tolgo le corde. Infine scendo anche io. Giù i ragazzi sono allegri. Volevano salire ma sulla cima non ci saremmo stati in tutti.

Ci sono anche dei bambini delle elementari, accompagnati dalle maestre, che si erano fermati a guardarci. Uno un po' più grandicello sfida un amichetto a far capriole sul prato. Sono ancora solo in pantaloncini corti. “Vengo anch’io, vengo anch’io” gli grido. Giù per il prato a capriole. 50 anni. Simone grida agli altri “Dai anche voi!”. I miei ragazzi si buttano anche loro giù per il prato. Una, due, tre, tante volte. Ridiamo felici mentre i bambini ci guardano. Veramente potremmo essere una potenza se solo sapessimo imparare a stare assieme.

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